Papa Francesco in una recentissima omelia del mattino ha detto” “Quando Dio visita il suo popolo, restituisce al popolo la speranza. Sempre. Si può predicare la Parola di Dio brillantemente: ci sono stati nella storia tanti bravi predicatori. Ma se questi predicatori non sono riusciti a seminare speranza, quella predica non serve. E’ vanità”.
Ho interpretato questo discorso sul predicare come valido anche su ogni nostra azione missionaria. Ogni volta che incontri una persona che ti chiede aiuto (e qui è un continuo), ogni volta che esprimi un giudizio, che compi un azione di solidarietà, che visiti una famiglia, un ammalato…. Ogni volta ti devi chiedere se sei uno che comunica speranza, se quello che dici e che fai offre speranza. Non illusioni, non ipocrisie anestetizzanti, ma speranza! Noi padri missionari siamo, volenti o nolenti, consapevoli o no, un segno di speranza.
Effettivamente, in questa situazione di indolenza diabolica delle istituzioni haitiane, in questa situazione dove si perpetua una specie di rassegnazione a non riuscire di cambiare il proprio futuro, noi possiamo essere uno dei pochi fattori di cambiamento. Qui a Mar Rouge, grazie all’opera e alle intuizioni di don Giuseppe Noli affiancato da don Mauro, ci sono stati cambiamenti che hanno inciso profondamente nella vita dei nostri haitiani della zona. Penso all’attenzione per i bambini con handicapp (Aksyon Gasmi, Sous renmen), penso alla distribuzione dell’acqua potabile, penso all’attività parrocchiale del SOKAM per la formazione al lavoro dei giovani, penso a tutto il lavoro per la scuola, alla costruzione e alla riparazione di tante case per le famiglie più povere, a tutta l’azione della Caritas parrocchiale organizzata in modo capillare e con tanti bravi collaboratori volontari….
Tutto questo è speranza e offre continuamente speranza. E’ quel che si dice”riuscire a far cambiare le cose”. Se un missionario è in questa logica di speranza fattiva, anche le sue
prediche, il suo parlare con la gente e della gente sapranno comunicare speranza. Quando un padre missionario parla dell’amore di Dio, chi ascolta lo sa che non si tratta del solito discorso utile come anestesia sui
problemi, perché questo padre è uno che ama sul serio e opera sul serio secondo questo amore.
Intanto che frullano queste convinzioni nella mente e nel cuore, continuo il giro delle case di famiglie in difficoltà
secondo la lista e le segnalazioni della Caritas e di don Mauro. Siamo stati nelle zone del vasto territorio parrocchiale denominate Pekri e Janvier. Ho fatto questo guidato dai responsabili caritas della zona e insieme al nostro direttore Charè. Il territorio di Mar Rouge è diviso in 17 zone e per ogni zona ci sono uno o due responsabili che seguono da vicino le famiglie più bisognose. Mentre offro la mia presunta “abilità” di fotografo per la documentazione utile, ho l’opportunità di conoscere sempre più da vicino la vita della nostra gente.
Purtroppo, più si vede, più si trovano situazioni di incredibile indigenza. Vale il detto “occhio non vede, cuor non duole”… e qui, se vedi quel che c’è, non puoi non dolerti, non sentire il peso di questa loro povertà. Ieri sera, mentre ero a letto, c’è stato un forte temporale. Pensavo alla fortuna di avere un buon tetto sulla testa e pensavo alle case che avevo visto e mi immaginavo in che modo potessero stare rannicchiati nell’unico angolo della casa dove non piovesse dentro.
Qualcuno ha detto:” beh. Loro sono abituati… vivono così da anni…”. Chi ragiona così non è certo un campione di speranza.
Certo che noi non possiamo risolvere tutti i problemi. Intanto, qui a Mar Rouge, cerchiamo di non perdere di vista chi ce li ha e si continua a fare qualcosa di buono per loro.
Ecco qui tre case che scalano la classifica delle situazioni più urgenti, che “speriamo” di aiutare il più presto possibile.
Al primo posto la casa in fresche frasche già presentata l’altra volta, al secondo quella con l’interno a vista cielo (ci vivono 8 persone, fra cui bambini piccoli), la terza un vero miracolo di collage con tutto ciò che era a disposizione.
Spesso, in questa zona, i cicloni fanno più disastri che da altre parti perché la vegetazione è più bassa o non sufficiente a riparare dal vento. Ci sono famiglie che dopo il colpo del ciclone restano come paralizzate, come una specie di ictus che toglie le capacità di reagire e si adattano al peggio piuttosto che cercare un miglioramento. Altre famiglie, forse con qualche possibilità in più, reagiscono almeno nel mettere pezze e aggiustamenti di fortuna, e prima o poi , trovano risorse per ricostruire. Trovi case con piccoli danni, ma lasciate andare, con disordine e sporcizia dappertutto, e trovi case sgangherate, ma con quel poco che è restato in piedi ordinato e pulito, con tanto di fiori che abbelliscono il cortile. Anche i poveri non sono tutti uguali!
E’ iniziata la scuola, già da una settimana. Gli alunni non sono certo arrivati in massa e non solo perché volevano prolungare le vacanze. Questo vale per tutte le scuole, ancora peggio per quelle statali, praticamente vuote. Molti sono ancora a casa e in giro perché non hanno i soldi dell’iscrizione, non hanno il materiale, la divisa, ….Le nostre scuole parrocchiali fanno tutto ciò che possono per accogliere anche chi non riesce a pagare, ma la situazione è davvero pesante se su 700 alunni solo meno di duecento riescono a dare un minimo di contributo. Due terzi dei costi totali sono a carico della cassa parrocchiale (cioè degli aiuti italiani).
Con don Claudio abbiamo già fatto visita ai nostri alunni e così vi regalo qualche bella foto di inizio scuola.
Auguri a tutti gli scolari del mondo!